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Il genio di Teodosic e quella magia che fa il giro del web

Se ci sia stato più genio cestistico o irridente insolenza nell’ennesima magia di Milos Teodosic, da domenica notte consegnata allo stupore planetario della rete, è già tema, all’indomani, della furente disputa da social. Visto il colpo, avviato il dibattito, su questa sequenza che rapisce e incanta. Va vista, la descrizione non è più che un tentativo. Primi minuti di Reggiana-Virtus, ospiti avanti 10-19, Teodosic entra nell’area nemica, ha davanti Candi che lo marca, cerca una traiettoria di passaggio che non gli si palesa, e allora lo finta, tiene la palla, la fa ruotare e sparire e infine la scodella, di tocco mancino, nel cesto sguarnito. Tanti, dei pochi che sono lì, all’Unipol Arena di Casalecchio desertificata dal Covid, vedono il cuoio dissolversi e rimaterializzarsi. Magia, appunto. E dibattito, allora. Si fanno, quei numeri, per amore di gioco e di spettacolo, offerto e incassato. Non si fanno, per rispetto di un avversario che ne esce umiliato. Buona la prima, per noi, se siamo tutti qui a riparlarne, più carezzati dal talento che feriti dalla strafottenza.

Ne benedice tanti, Teodosic, di palloni così, imponendovi le mani, se Kevin Durant, uno che ha giocato coi venti migliori del mondo, rientrando fra i primi cinque, sostiene di non essere mai stato in campo con un passatore così bravo: tweet autografo di qualche mese fa, abbagliato da un’altra idea fulminante di Milos. Si sfiorarono appena nella Nba, un po’ più spesso fra nazionali serba e americana, magari non è proprio un’expertise, però valga come sensazione, il parere di quel fenomeno. E magari è vero che la carriera di Teodosic volge al suo gran finale, toccando a marzo i 34 anni, non apparendo ora nei massimi tornei, con una maglia e uno stipendio da due milioni di dollari che la Virtus gli ha messo addosso per tornare insieme, lei e lui, nell’Eurolega che rivaleggia con la Nba per qualità e intensità di basket.

Il serbo l’ha abitata a lungo. Quattro stagioni nell’Olympiacos Pireo, sei nel Cska Mosca (anche allenato da Ettore Messina), mezza dozzina di Final Four raggiunte, una vinta (2016), e la vulgata dice che Teo v’abbia raccolto meno di quanto il suo talento avesse così vistosamente seminato, talvolta non maritando alla bellezza il killer instinct degli ultimi secondi. Poi però ci sono anche le quattro medaglie d’argento con la Serbia (2 Europei, Mondiali, Olimpiadi, due alle spalle degli Stati Uniti), e anche sfortuna nelle curve decisive, come quando nel 2017 s’imbarcò per la Nba, subito incantò anche i Clippers, poi si defilò, e infine lasciò che il suo anno e mezzo di avviliti malumori s’arrendesse alla fascite plantare che è stata, in carriera, il suo nemico più subdolo.

Guarito, l’uomo che ride poco e parla meno, il fresco papà di Bogdan, il secondogenito, che in campo indossa sempre la stessa faccia impenetrabile, traina ora la Virtus targata Segafredo verso l’agognata rinascita, attraverso i tre obiettivi prefissati: scudetto, Eurocup, Coppa Italia (al via giovedì a Milano). E intanto fa spettacolo, camminando su quel filo per eletti, sospeso fra arte e magia. E si sa tutti quanto serva, al bistrattato basket italiano, il privilegio di avere a bordo pezzi unici come lui.