La favola del Sud Sudan
La nazionale più povera al mondo si qualifica per i campionati iridati
Mai successo che una nazionale africana si qualificasse per i Mondiali di basket al primo tentativo. C’è riuscito il Sud Sudan, lo Stato più povero al mondo e quello con l’indice di sviluppo umano peggiore. La squadra, che gioca sempre in trasferta perché non ci sono impianti ed è formata da giocatori residenti all’estero, fuggiti dagli orrori delle guerre civili, ha compiuto un’impresa dai contorni storici.
È troppo bella per essere ignorata la storia dei cestisti del Sud Sudan. È troppo bella e soprattutto condensa un mix di fatti ed emozioni contrapposte: la qualificazione ottenuta alla fase finale dei Mondiali di basket 2023 grazie alla vittoria ad Alessandria d’Egitto, nel concentramento africano, contro il Senegal (nazione che tra i canestri vanta una solida tradizione); la precarietà delle condizioni nelle quali questi ragazzi si ritrovano; lo scenario duro di un Paese che «vanta» (si fa per dire) un paio di record negativi a livello sociale; gli sforzi di chi li ha aiutato a realizzare quello che chiameremo «il miracolo sul parquet».
Il Sud Sudan ha staccato con ampio anticipo il pass per la fase finale del torneo iridato, in programma dal 25 agosto al 10 settembre tra Giappone, Filippine e Indonesia. La promozione iridata, ricordiamo, l’ha già acquisita — a sua volta prima della fine dei tornei di qualificazione — anche l’Italia di Gianmarco Pozzecco: magari una delle avversarie che l’urna del sorteggio assegnerà sarà proprio quella di questi ragazzi del Continente Nero. L’estrazione si svolgerà a Manila il 29 aprile.
Intanto ecco un riassunto di un’impresa straordinaria delle «Bright Stars» (stelle splendenti), griffata prima di tutto da un incontenibile giocatore che risponde al nome di Nuni Omot: 26 punti, 8 rimbalzi e 4 assist per lui, ala nella G-League (la lega di sviluppo legata alla Nba) con i Westchester Knicks. La carta d’identità cestistica, in primis: il Sud Sudan manda in campo la Nazionale di più recente costituzione nel basket; è stata infatti formata in seguito all’indipendenza dal Sudan, costata 2 milioni e mezzo di morti.
Stiamo poi parlando dello stato più povero sul Pianeta Terra e di quello con l’indice di sviluppo umano peggiore, aggiunto che il 94% della popolazione vive in villaggi. Dettaglio non trascurabile e nemmeno accessorio in questa storia: dato che si vive soprattutto in villaggi, i palasport sono qualcosa di semplicemente sconosciuto. Quindi le partite in Sud Sudan non esistono perché non c’è alcun luogo in cui poterle disputare. Non solo: dal 2013 al 2020 nessun titolare della squadra ha vissuto nel Sud Sudan a causa della guerra civile. E ben quattro giocatori sono orfani a causa della guerra, mentre due sono venuti al mondo in campi profughi in Kenya.
La crescita del gruppo è avvenuta prima di tutto sul piano umano, ma anche sotto il profilo tecnico il balzo in avanti è evidente: la qualificazione è stata infatti raggiunta con 9 vittorie in 10 partite. Il presidente della Federazione Pallacanestro, e colui che ha creato e reclutato tutti i giocatori, è Luol Deng, ex professionista per 15 stagioni nella Nba ma anche nazionale inglese (partecipò pure ai Giochi di Londra) dopo la naturalizzazione: dopo essere stato una colonna dei Chicago Bulls (2004-2014), ha militato nei Cleveland Cavaliers (pochi mesi), nei Miami Heat (2014-2016), nei Los Angeles Lakers (2016-2018) e infine nei Minnesota Timberwolves (2018-2019). Lo scorso agosto Deng ha pagato di tasca sua un viaggio per la squadra nella capitale Giuba. All’aeroporto sono arrivate 7 mila persone che hanno accolto i giocatori come eroi nazionali. Molti di loro, colti di sorpresi dall’affetto, hanno pianto. Per alcuni si è trattato dell’occasione di rivedere i familiari dopo circa nove anni.
Il legame con la Nba, comunque, non riguarda solo Luol Deng ma anche il coach: il titolare del ruolo è infatti Royal Ivey, a sua volta ex giocatore e oggi assistente di David Vaughn ai Brooklyn Nets. Il club professionistico non è però stato molto smart e disponibile: ha infatti negato il permesso a Ivey di partecipare agli impegni in questa finestra delle qualificazioni. Così in panchina è andato proprio Deng, uno e «bino»: presidente e allenatore.
È un’impresa nell’impresa che sarà scolpita nella storia tanto quanto il ricordo del pioniere del basket sudanese: è il compianto Manute Bol, padre di Bol Bol, oggi compagno di squadra di Paolo Banchero negli Orlando Magic; fu proprio Manute il mentore di Luol Deng. Un’ultima curiosità sul Sud Sudan? Eccola: il basket australiano è diventato un’enclave dei suoi cestisti, dopo che molti sono fuggiti in Oceania a causa della guerra.